Per la reperibilità nel giorno festivo spetta solo il compenso economico
Il servizio di reperibilità svolto nel giorno di riposo settimanale limita, senza escluderlo, il godimento del riposo, e comporta il diritto a un particolare trattamento economico stabilito dalla contrattazione collettiva o dal giudice. Ad affermare tale principio è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26723 del 18 dicembre 2014.
IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte di Appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale di Cassino, rigettava l’opposizione di una ASL avverso i decreti ingiuntivi emessi, su istanza dei lavoratori (medici ed operatori sanitari), a titolo di differenze retributive relative a giorni di riposo non goduto, avendo gli stessi prestato servizio di pronta reperibilità in giorni festivi.
A base del decisum la Corte territoriale poneva il rilievo fondante secondo il quale l’art. 18 del D.P.R. n. 270 del 1987, richiamato dall’art. 44 n. 1 del C.C.N.L. del comparto sanità, così come l’art. 20 n. 6 del C.C.N.L. area dirigenza medica, prevedeva che al dipendente – nel caso in cui la pronta disponibilità coincideva con una giornata festiva – spettava un riposo compensativo senza riduzione dell’orario di servizio settimanale e conseguentemente non si poteva dubitare del diritto dei lavoratori ad ottenere la compensazione monetaria afferente la mancata fruizione del riposo compensativo nelle giornate di pronta reperibilità per cui era causa.
D’altro canto, secondo la Corte territoriale, una diversa interpretazione della norma non avrebbe consentito al dipendente di beneficiare del previsto riposo compensativo da ritenersi comunque irrinunciabile a norma dagli artt. 36 Cost. e 2109 del codice civile.
Avverso questa sentenza la predetta ASL ricorre in cassazione, chiedendo se la mancata fruizione del giorno di riposo compensativo sia monetizzabile. Deduce che i dipendenti non avevano mai chiesto di volere usufruire di un giorno di riposo compensativo. La reperibilità prestata in giorno festivo – in conclusione – non implicherebbe ad avviso della ASL una prestazione lavorativa tale da confliggere con il principio dell’irrinunciabilità del diritto al riposo settimanale.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato dalla ASL. Premesso che, nei casi di specie, il compenso è stato richiesto in assenza di prestazione lavorativa (cosiddetta reperibilità passiva), gli Ermellini rilevano come la giurisprudenza della stessa Corte abbia già più volte affrontato le tematiche sollevate in ricorso, osservando che la reperibilità, prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione dì lavoro, consistendo nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa; conseguentemente il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto ad un particolare trattamento economico aggiuntivo stabilito dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, determinato dal giudice, mentre non comporta, salvo specifiche previsioni della contrattazione collettiva, il diritto ad un giorno di riposo compensativo, il cui riconoscimento, attesa la diversa incidenza sulle energie psico-fisiche del lavoratore della disponibilità allo svolgimento della prestazione rispetto al lavoro effettivo, non può trarre origine dall’arte 36 della Costituzione, ma la cui mancata concessione è idonea ad integrare un’ipotesi dì danno non patrimoniale (per usura psico-fisica) da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, che è risarcibile in caso di pregiudizio concreto patito dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava però l’onere della specifica deduzione e della prova.
A tale orientamento il Collegio dà continuità, rilevando che non consta essere stato dedotto e, tanto meno, provato, da parte dei lavoratori, un danno non patrimoniale da usura psico-fisica.
Da quì l’accoglimento del ricorso.
Corte di Cassazione – Sentenza N. 26723/2014
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