LA VICENDA ALMAVIVA: SPARTIACQUE PER UN NUOVO RAPPORTO TRA LAVORATORI E SINDACATO.
Forse la vicenda consumata il 22 dicembre scorso, che ha coinvolto 1.666 lavoratori di AlmavivA Contact, passerà alla storia come un punto di non ritorno. Non per evidenziare che “esiste una crisi economica e occupazionale”, oppure che “occorre fare qualcosa per la delocalizzazione”. Questi sono temi ormai noti e consunti, anche se non risolti.
Il 22 dicembre passato potrebbe essere preso come “data simbolo” del cambio di rapporto tra lavoratori e sindacato. Rapporto che ha vissuto da almeno un decennio su un equivoco nato nella seconda metà del secolo scorso.
Per chi è a digiuno della vicenda provo a riassumere in breve.
Almaviva da tempo ha dichiarato esuberi di personale con l’attivazione delle relative procedure previste per legge. Dopo diversi incontri, rinvii, temporanei salvataggi e proroghe ottenute sui tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo economico, le settimane scorse si era arrivati a sottoporre alle rappresentanze dei lavoratori una soluzione che avrebbe fatto in modo di mantenere i posti di lavoro anche se penalizzati in diversi aspetti. L’accordo è stato bocciato dalle RSU del sito Almaviva di Roma, mentre è stato accettato dagli altri siti oggetto della vertenza. Come conseguenza la sede di Roma, che comprendeva 1666 dipendenti, ha chiuso e sono partite le lettere di licenziamento.
Alla concreta chiusura del sito di Roma, avvenuta pressoché immediatamente, la stragrande maggioranza dei lavoratori sono cascati dal pero, come se fosse stata solo una rappresentazione teatrale che non li riguardava personalmente, ma che osservavano da spettatori. In special modo le proteste sono venute da chi non aveva mai partecipato alle manifestazioni, agli scioperi, e alle altre iniziative di una vertenza che va avanti da più di un anno e mezzo. Ma non c’è stato nulla da fare: le procedure previste per legge si erano concluse e la proprietà non ha ritenuto di riaprire alcun tavolo di trattativa.
Questa è in sintesi la storia. Il pessimo risultato ottenuto, oltre ad essere l’immagine emblematica del mondo del lavoro che cambia, è la risultante di tutti quei fattori che, fino a qualche tempo fa, avrebbero fatto ottenere una ennesima “temporanea” soluzione del problema, nell’ottica tutta italiana (e romana in particolare) del tirare a campare, ottica che ormai appartiene sempre più al passato.
I fattori a cui faccio riferimento sono:
- l’idea di molti lavoratori che l’obolo mensile versato ai tre grossi sindacati significasse “tutela ad oltranza”, a prescindere dalle vicende interne ed esterne all’azienda. Un abbonamento a rivedere ripensare, traccheggiare e allungare i tempi e i termini, senza alcun dubbio che potesse comunque sparire il proprio posto di lavoro.
- L’idea, forse peggiore, di molti altri lavoratori, che con l’obolo versato dagli iscritti ai sindacati, erano automaticamente tutelati tutti e che non era conveniente iscriversi al sindacato e tantomeno partecipare a sit-in, scioperi, cortei e manifestazioni di protesta perché “uno ha tante cose da fare” che non può certo perdere tempo e prendere freddo in mezzo alla strada, in una piazza o altro. Meno che mai mettersi un cartello addosso e un fischietto in bocca!
- L’idea, trasmessa in maniera subdola e implicita dai tre grossi sindacati, che finché si era iscritti con loro non si doveva temere il peggio perché in un certo qual modo rappresentavano un potere sociale al quale non si poteva disobbedire. E quindi il comportamento distorto e assente dei lavoratori era coadiuvato e incentivato da costoro che, invece, non gradivano avere gente che partecipava e contribuiva alle decisioni fuori dal proprio management.
E così il 23 dicembre i lavoratori romani di Almaviva si sono svegliati scoprendo, a loro spese, che quei presupposti erano sorpassati, che non funzionava più così. Ma non è stata una trasformazione improvvisa. Molti sono stati i sintomi che si erano manifestati negli ultimi anni, regolarmente ignorati dalla stragrande maggioranza dei lavoratori, e sottovalutati in maniera compiaciuta dalle tre grosse confederazioni.
E così Almaviva può essere un forte stimolo per iniziare a assimilare un cambio di mentalità e di atteggiamento da parte di tutti: lavoratori e sindacati. Perché senza una trasformazione nelle funzioni e nei ruoli, nei comportamenti e nella sensibilità delle due componenti resta solo l’arroganza dell’economia globale.
Occorre ripensare l’azione sindacale ma, prima di fare questo, occorre ripensare la partecipazione dei lavoratori all’attività di rappresentanza collettiva che dovrebbe essere il sindacato. Una rappresentanza dei lavoratori come protagonisti, e non una rappresentanza per conto dei lavoratori ai quali viene chiesto solo di pagare la tessera.
Fonte: www.confintesa.it